La Storia del Fantasma

(articolo di Domenico Sanino per "Provincia Granda")

Il 7 novembre 1799, Cuneo, già occupata dai francesi di Napoleone, fu assediata dall'esercito austro-russo comandato dal generale Melas che aveva posto il suo quartiere a Centallo.
Sotto le mura della città, che subiva il settimo assedio, c'erano le truppe del principe di Liechtenstein che in meno di un mese ebbero la meglio sui francesi del generale Clément. Infatti il 4 dicembre i francesi lasciarono Cuneo per ritornarvi dopo la battaglia di Marengo del 15 giugno 1800.
Pochi mesi prima, nel febbraio 1799, il Comune aveva deliberato l'annessione alla Francia. La presenza dei francesi sul territorio cuneese non fu accolta ovunque positivamente. Soprattutto nei paesi circostanti si erano formati movimenti armati antifrancesi, capeggiati da alcuni nobili, tra cui il conte Luigi Mocchia di San Michele, che aveva contribuito ad organizzare una vera milizia, la "Massa Cristiana".
Per mettere a tacere questi "rivoltosi", un corpo di 2500 francesi lasciò la città ed iniziò un'opera di rastrellamento a Cervasca, Vignolo, Bernezzo, Roccasparvera, dove 32 partigiani furono buttati nella Stura, Gaiola e Valloriate. Gli scontri causarono qualche centinaio di morti, ingenti danni alle campagne ed alle case, in buona parte incendiate, saccheggi alle chiese e alle canoniche.
Nella notte del 5 luglio 1799, Luigi Mocchia "colonnello delle armate di S.M. il re di Sardegna -come lasciò scritto il figlio- fu ucciso in guerra vicino a Cuneo all'età di 45 anni circa".
Si sa che il conte, da tempo noto per il suo atteggiamento antifrancese, fu decapitato. Il corpo, recuperato dai compagni d'arme, venne sepolto nel giardino della sua casa, mentre la testa fu esposta su una lancia e portata per la città, come monito a tutti a non sfidare gli occupanti.
La testa, poi, andò dispersa e non fu possibile seppellirla insieme con il corpo. Nacque così la leggenda di famiglia che vuole il fantasma del povero conte girare senza pace per la casa in cerca della sua testa.
I “rumori” creati dal fantasma del conte si accentuano nei primi giorni di luglio, in concomitanza con la sua morte; ma, fatto curioso, non sono percepiti dai discendenti, che tuttora abitano villa Oldofredi, ma dagli eventuali ospiti. Al mattino, più d’uno ha riferito di inusuali rumori, con percezione di presenze strane, non descrivibili. La sensazione è però di una figura pacifica, che non incute paura,che si muove quasi in punta di piedi per non disturbare, e che non si lascia assolutamente vedere da nessuno.
I Mocchia di San Michele, una delle più antiche famiglie di Cuneo, possedevano case e terreni tra cui il Colombaro San Michele, in regione Cerialdo. Qui fin dal 1764 era stata costruita una cappella dedicata alla Madonna del Rosario e aperta al pubblico per consentire ai contadini delle cascine circostanti di poter assistere alle funzioni religiose senza doversi recare a piedi nella lontana parrocchia di Passatore.
Dopo la morte di Luigi Mocchia, la casa, la cappella e le cascine furono razziate ed incendiate.
Il conte di San Michele lasciò la moglie, Camilla Taricchi di Stroppo, e due figli minorenni, Luigi e Renè, ai quali toccò negli anni successivi riparare i danni e ricostruire il patrimonio di famiglia. Renè morì giovanissimo in Prussia e Luigi, come testimonia nel suo meticoloso diario, dovette pensare alla numerosa famiglia, comprese le zie suore, rimaste senza convento.
Infatti durante l'occupazione francese, che durò fino al 1814, i conventi di Cuneo vennero chiusi; fra questi c'era il convento della S.S. Annunziata dove era badessa una sorella del conte decapitato dai francesi. Alle suore che abbandonavano il convento furono lasciate le reliquie ivi custodite, come si legge in un documento del 27 maggio 1812 conservato nell'archivio Mocchia: "L'anno del Signore 1802 essendo stato soppresso il Monastero della S.ma Nunziata esistente in Cuneo in virtù del decreto emanato dal Governo Francese li 22 settembre dell'anno suddetto, rimasero in piena proprietà di suor Maria Isabella Mocchia di San Michele allora badessa e delle altre sue correligiose le due urne contenenti le reliquie insigni di San Cassiano Martire e del Beato Angelo Carletti da Chivasso".
La reliquia di San Cassiano, come precisa il documento sottoscritto da tutte le suore, fu offerta, previa autorizzazione del Vescovo di Mondovì, Mons. Vitale, al parroco di Sant'Ambrogio, che la espose sull'altare di S. Omobono, dove si trova tuttora, mentre quella del Beato Angelo, contenente la tonaca, il cappuccio e il cuscino su cui posava la testa nella prima bara (da cui era stato traslato nel 1753), al "Sig. Cavaliere (i titoli nobiliari erano stati aboliti) Gian Franco Mocchia di San Michele" che la passò al nipote affinchè fosse conservata "nella maggior decenza possibile nella Cappella della S.ma Vergine del Rosario posta nelli fini di Cuneo, regione di Cerialdo e del Colombaro e spettante in proprietà al Sig. Cavaliere Luigi Mocchia di San Michele".
Così il giovane conte, ricevuta la reliquia, dovette provvedere al restauro della cappella, ancora danneggiata dall'incendio del 1799. Fu realizzata una nicchia per sistemare il reliquiario del Beato Angelo, al di sopra della quale fu posto un quadro con l'effigie del Carletti in preghiera davanti ad un crocefisso.
I recenti restauri del quadro hanno messo in evidenza una curiosa testa mozzata contornata da una falce, adagiata su un libro ai piedi del Beato Angelo. Un attento esame dell'opera ha rivelato che la testa del morto fu dipinta successivamente da altra mano. Con ogni probabilità, quando Luigi Mocchia ricevette la reliquia e realizzò la nicchia per conservarla, volle affidare al Beato Angelo il padre decapitato dai francesi. Fece così raffigurare su un quadro già preesistente, certamente settecentesco, il capo dello sfortunato genitore come per restituirgli nell'aldilà ciò che gli era stato sottratto in terra.